I social network nell’emergenza.
I player principali dei servizi d'emergenza lo hanno capito ormai da tempo che i social network sono molto importanti durante un'emergenza.
Il lavoro che resta da fare, però, è ancora molto, soprattutto «in tempo di pace», lontano cioè dalle situazioni di emergenza, quando i cittadini non devono essere informati sulle conseguenze di una calamità, ma devono essere sensibilizzati e preparati ad affrontare i rischi naturali, che potrebbero verificarsi in futuro.
Quando nel 2009 il terremoto ha scosso l’Aquila, i social network non erano ancora diffusi come lo sono oggi, nel 2012 invece, dopo il sisma che ha colpito l’Emilia, hanno dimostrato a pieno le loro potenzialità, le stesse che la Protezione Civile ha cercato di mettere a frutto in queste settimane, dopo il terremoto del 24 agosto nel Centro Italia.
È stato quindi un uso crescente, quello che la Protezione Civile ha fatto dei social network negli ultimi anni in situazioni d’emergenza.
In questi casi, il tempo diventa il nemico numero uno, perché continua a scorrere, mentre noi abbiamo il dovere di comunicare in modo tempestivo informazioni utili, mettendo in gioco la nostra credibilità come istituzione e come fonte.
A giocare un ruolo importante in rete, nel pieno dell’emergenza che ha colpito il Centro Italia, è stata la #SocialProCiv, la community digitale formata da tutti i soggetti che operano nel campo della Protezione Civile italiana.
La Protezione Civile ha investito sulla creazione di una community dedicata, ognuno ha comunicato l’emergenza a seconda del proprio ruolo, i Vigili del fuoco hanno condiviso immagini delle operazioni di soccorso, le organizzazioni di volontariato hanno raccontato gli interventi di sostegno alla popolazione colpita dal sisma. E questo solo per fare alcuni esempi. In generale, la community è nata per rendere più riconoscibile, utile e omogenea la comunicazione sui temi della protezione civile.
Gestire la solidarietà.
Durante un’emergenza, anche lo spirito di solidarietà ha bisogno di essere governato. «In seguito ad eventi drammatici come i terremoti, esiste la difficoltà di gestire il dono questo perché i cittadini desiderano dare una mano e tendono ad agire di propria iniziativa, senza aspettare di ricevere indicazioni. Durante un’emergenza invece, bisogna sempre tenere a mente che il dono è prima di tutto un aiuto per gli altri, non una gratificazione personale, per questo motivo è necessario avere pazienza e aspettare di ricevere tutte le informazioni necessarie, per avere un’idea di ciò che effettivamente serva.
Ma una simile attenzione continuerà a rimanere viva a lungo? «Di solito, una volta passata l’emergenza, l’interesse degli italiani intorno al nostro lavoro cala sensibilmente», ha detto Titti Postiglione. «In seguito ad eventi come i terremoti, la Protezione Civile diventa un riferimento fondamentale per il Paese, ma sono i “tempi di pace” quelli su cui dobbiamo continuare a lavorare, fuori e dentro i Social network: perché sono quelli i tempi in cui aiutiamo i cittadini a prepararsi all’emergenza». In questa direzione si muove “Io non rischio”, la campagna di comunicazione nazionale, attiva da tempo nelle nostre città, per informare i cittadini sui rischi naturali che interessano l’Italia.
Secondo la raccolta dei dati del report mondiale Digital In 2017, relativi all’utilizzo di internet, dei social media e mobile, oltre il 46% della popolazione mondiale, equivalente a tre miliardi e mezzo di persone, è connesso a internet.
Sono 2,5 miliardi le persone che usano social network e 3,8 miliardi quelle che utilizzano i dispositivi mobili, fenomeni in crescita di circa il 10% rispetto all’anno 2016.
Questo trend è la chiara conseguenza di come la rivoluzione tecnologica abbia aperto le porte a una vera e propria rivoluzione culturale e conseguentemente psicologica e comunicativa.
Una trasformazione epocale, che non ha avuto eguali dai tempi della nascita della scrittura.
Nell’era globalizzata della conoscenza, dove i flussi di notizie si sviluppano soprattutto attraverso i media online e i social network, l’accessibilità alle informazioni costituisce una prerogativa indispensabile ai fini dell’attuazione di una politica inclusiva in un contesto civile e democratico della società. L’importanza di una comunicazione efficace è riscontrabile soprattutto in settori comunicativi delicati e di innegabile importanza come quello della comunicazione del rischio naturale, in situazioni di emergenza e non. In un Paese, come il nostro, ad alto rischio sismico e idrogeologico, la diffusione tempestiva di informazioni efficaci e affidabili può avere un ruolo fondamentale per la mitigazione del rischio e al contenimento dei danni ad esso connessi. Il flusso comunicativo che si viene a creare in questo contesto, infatti, è di primaria importanza per la salvaguardia dei soggetti colpiti.
Secondo uno studio di Comunello (Comunello 2014) sono proprio i social network i primi mezzi di informazione a essere utilizzati dalla popolazione per reperire notizie riguardanti un’emergenza.
Questo accade sicuramente anche perché, in molti casi, l’evento calamitoso crea l’interruzione di linee telefoniche, generato anche dal congestionamento delle stesse. Facebook, Twitter e Instagram in queste situazioni possono fornire un’alternativa necessaria per ottenere informazioni utili ai soccorsi.
Con i social network i modelli comunicativi tradizionali iniziano a essere totalmente stravolti, dal momento che gli utenti non sono unicamente fruitori dell’informazione ma anche produttori della stessa. In questo modo è evidente come tale ecosistema comunicativo possa aver cancellato totalmente i tradizionali modelli comunicativi che vedevano le istituzioni come portatrici di informazioni ufficiali mentre gli utenti come semplici ricettori dell’informazione, sostituendo la lineare struttura verticale di trasmissione della comunicazione con una trasmissione orizzontale two-ways. Tramite i social network, come sottolinea più volte Giancarlo Sturloni nel suo libro “La comunicazione del rischio”( Mondadori Università, 2018), gli utenti possono partecipare allo scambio informativo inerente il rischio naturale, fornendo un contributo attraverso la pubblicazione di proprie testimonianze o la condivisione di post istituzionali. Le interazioni comunicative in emergenza vedono infatti da un lato l’impegno delle istituzioni nel tentativo della gestione dell’emergenza, mentre dall’altra parte l’automatico coinvolgimento dei cittadini-utenti che si attivano a loro volta grazie ai social. In questo caso, il ruolo delle istituzioni e dei media nella capacità di rapportarsi con tutti i soggetti coinvolti nell’emergenza può fare la differenza.
In questo contesto le piattaforme digitali assumono un ruolo di rilievo nelle situazioni di emergenza, quando la disponibilità di informazioni diventa una necessità vitale, le persone si rivolgono ai social media per cercare notizie.
Compito fondamentale delle istituzioni in questa evoluzione comunicativa è dunque quello di valorizzare e canalizzare i contributi degli utenti, cercando di accogliere e gestire la crescente necessità di partecipazione alla gestione del rischio da parte della popolazione. Secondo le stime Censis del 2017, ben il 56% degli italiani ha un profilo Facebook, il 49,5% è su Youtube, il 21% è su Instagram e il 13,5% è su Twitter. Nonostante gli utenti attivi su Twitter in Italia risultino essere una minoranza rispetto alle altre piattaforme social, bisogna ricordare che si tratta di una piattaforma utilizzata da giornalisti, decisori politici e grandi aziende, che possono adoperare gli stringati tweet per ampliare e divulgare il messaggio su altre piattaforme social. È infatti l’uso integrato delle varie piattaforme che consente un’efficace comunicazione del rischio naturale, iniziando dalla comunicazione in tempo di pace fino ad arrivare alla comunicazione in emergenza, momento in cui i social media assumono una funzione fondamentale data la necessità di informazioni che si viene a creare in questi periodi delicati. L’accadimento di un evento catastrofico rompe infatti la routine quotidiana, costringe al cambiamento e a un’immediata riorganizzazione del sistema cognitivo. In questo modo le persone sottoposte a una situazione di emergenza rispondono tendenzialmente a questa pressione cercando differenti forme di supporto. Un numero crescente di cittadini dunque utilizza le piattaforme social media per condividere testimonianze, esperienze ed emozioni, cercare sostegno e informazione e offrire il proprio aiuto alle popolazioni colpite. Vi è una vasta varietà di social che la popolazione utilizza durante le emergenze, il web consente infatti un uso integrato delle piattaforme multimediali che garantisce così di indirizzare la comunicazione a seconda del target di riferimento e dell’obiettivo comunicativo. Twitter, per il suo carattere di istantaneità e per le sue funzionalità che favoriscono un’ordinata catalogazione di ampi flussi informativi attraverso gli hashtag, è una delle piattaforme maggiormente utilizzate in emergenza. Con i suoi 280 caratteri, Twitter viene utilizzato soprattutto per la diffusione di comunicazioni istantanee in emergenza, arrivando a favorire, se ben canalizzato, il coordinamento di iniziative di primo intervento. Ma nell’ultimo anno 2018, anche Instagram ha avuto un ruolo importante per la condivisione d’immagini durante l’emergenza.
Grazie alla caratteristica dei post real time, alla messaggistica pubblica e alla relazione comunicativa one-to-many, questa piattaforma riesce a garantire una disseminazione delle informazioni massiva. Analizzando la struttura di Twitter, il social si presenta a primo impatto come asimmetrico, ossia fatto di pochi utenti con un cospicuo numero di followers e molti utenti con un numero limitato. Nonostante ciò, grazie ai retweet e ai tag vi è un’ampia diffusione delle informazioni, soprattutto grazie ai retweet di twitstar, ossia utenti con un gran numero di followers, e influencer della piattaforma, dal momento che almeno in Italia le istituzioni sono solo una timida presenza. Twitter consente inoltre di accedere istantaneamente alle informazioni essenziali riguardanti l’emergenza grazie ai relativi hashtag, che favoriscono la ricerca di informazioni raggruppando le stesse per macro aree. L’utilizzo efficace di questo social in emergenza è stato anche standardizzato da una guida ONU che ha identificato tre hashtag principali da utilizzare in emergenza: # nome della calamità, # public reporting e # richiesta di soccorso, con post sempre tassativamente geolocalizzati. Facebook d’altro canto, è sicuramente il social media più utilizzato e diffuso al mondo, ma al momento le limitazioni di privacy rendono ancora un po’ macchinoso il suo utilizzo in emergenza. Questa piattaforma social è infatti maggiormente utilizzata per l’espressione degli stati d’animo e per tutto ciò che riguarda le testimonianze legate alla memoria dei disastri naturali, garantendo la sua efficacia nella comunicazione del proprio stato.
Una funzione fondamentale di Facebook in emergenza è senza dubbio il safety check, che viene attivato automaticamente nelle zone colpite. Questo tool, che funziona attraverso la geo-localizzazione, permette infatti di poter informare i propri contatti che si è al sicuro e di controllare che anche gli altri utenti lo siano.
L’importanza dei social network in emergenza è stata rimarcata già dal 2015, con il Sendai Framework for Action, la Conferenza Mondiale dell’ONU sulla riduzione del rischio catastrofi. Il documento approvato dalla World Conference on Disaster Risk Reduction, infatti, include per la prima volta i social media tra gli strumenti ufficiali di gestione degli eventi causati da calamità naturali. A livello internazionale si stanno attivando anche organizzazioni no-profit nell’ambito del digital humanitarian. È il caso ad esempio della Standby Task Force, una ONG americana che opera nel campo dell’information management e del crisis mapping. I volontari della Standby Task Force monitorano il web in tempo di emergenza per cercare e catalogare informazioni utili alle organizzazioni che si occupano di rispondere all’emergenza. Tutte le informazioni raccolte vengono poi categorizzate, analizzate, verificate, localizzate e organizzate in mappe o dataset. In questo modo un semplice tweet può diventare un’informazione chiave per portare aiuti nelle zone colpite da un disastro naturale. Nonostante a livello internazionale studi ed esperienze dimostrino come l’impiego dei social network in emergenza possa contribuire alla resilienza delle comunità colpite da un disastro naturale, in Italia la comunicazione istituzionale sul web e ancora di più nei social network, fatica a prendere piede. Ma se le istituzioni tardano ad aprirsi al mondo dei social, sono i cittadini stessi colpiti dall’emergenza a condividere informazioni in modo da andare a colmare la scarsa presenza istituzionale online. In Italia l’uso integrato delle piattaforme digitali consente di potenziare la comunicazione del rischio è nel maggio 2012, con il terremoto in Emilia che si inizia ad avere una reale testimonianza dell’ascesa del ruolo dei social network in emergenza. In effetti, durante questo evento calamito, il primo tweet venne postato esattamente un minuto dopo la prima scossa di terremoto, anticipando di circa trenta minuti la diffusione ufficiale delle notizie da parte degli organi di stampa. Le notizie sul sisma sono state dunque inizialmente diffuse grazie alle semplici testimonianze dirette degli utenti, alle quali solo dopo qualche ora si è aggiunta quella di profili di testate giornalistiche e personaggi pubblici molto seguiti.
A testimonianza dell’assenza istituzionale sui social, solo il profilo dell’INGV @ingvterremoti è risultato attivo durante il sisma in Emila, fornendo però unicamente informazioni tecniche come la localizzazione e magnitudo dei terremoti, senza dare nessun’altro tipo di indicazione alle popolazioni terremotate. Mentre è mancata totalmente la presenza di istituzioni pubbliche che avrebbero potuto contribuire alla diffusione di informazioni per la gestione del rischio e anche profili di Protezione Civile Nazionale e Locale hanno mostrato una scarsa presenza. Nonostante ciò, questo evento sismico è stato uno dei primi disastri naturali commentati per esteso nel territorio italiano, facendo diventare un trending topic l’hashtag #terremoto per tutto il periodo del sisma, grazie ad un’attivazione informativa dal basso. La carenza comunicativa istituzionale è stata dunque colmata dai media e dalle twitstar, che hanno attivato un processo di mention/RT in grado di far circolare le informazioni utili alla gestione dell’emergenza. Nonostante si tratti di profili non esperti di emergenza e di protezione civile, la loro portata mediatica all’interno di Twitter Italia ha fatto in modo che notizie inerenti il soccorso fossero diffuse ad un’ampia platea di utenti. La scarsa presenza delle istituzioni nei social media è stata riscontrabile anche durante l’alluvione in Sardegna del novembre del 2013, quando una perturbazione con precipitazioni intense portò ad allagamenti ed esondazioni in 5 province, per un totale di sedici morti ed un disperso. Tale evento ha creato una florida attività sui social media, ma con un fine differente dall’attivazione spontanea generata in Emila. Infatti, se in Emilia i contributi degli utenti twitter erano prevalentemente mirati a diffondere informazioni o, nel caso di Facebook, ad esprimere il proprio stato d’animo o la propria testimonianza, in occasione dell’alluvione in Sardegna si è assistito per la prima volta in Italia a un’attività comunicativa volta a fornire reale supporto alle popolazioni colpite. Una vera e propria attivazione dal basso di volontari social, organizzati con l’hashtag #allertameteoSAR e attivi su varie piattaforme social con grande capacità di pianificazione e organizzazione. Attraverso una linea comunicativa comune e condivisa, i volontari hanno favorito l’efficacia degli interventi comunicativi e, di conseguenza, degli interventi dei soccorritori sul territorio.
Sono state infatti diffuse delle vere e proprie regole di utilizzo per ciascun social, come ad esempio utilizzare l’hashtag #allertameteoSAR solo per comunicazioni relative ad effettivi soccorsi inerenti l’alluvione. Questa moderazione condivisa dell’hashtag da parte dei volontari digitali è stata la strategia vincente per eliminare i tweet non strettamente connessi alle azioni di soccorso e veicolare quindi efficacemente solo le informazioni necessarie, facendo diventare in questo modo l’hashtag un vero e proprio strumento di supporto alla mitigazione del rischio e ai soccorsi. Le informazioni sono state poi condivise in una pagina Facebook e in una mappa collaborativa dal nome SardSOS. Questa mappa si è rivelata essere un’innovativa forma di partecipazione dei cittadini attraverso i social network, utilizzata per dare ordine al flusso indistinto di informazioni riguardanti l’emergenza e rendere dunque i contenuti utili all’emergenza. La mappa, costruita sulla piattaforma Ushaidi (azienda no-profit che sviluppa software open source gratuito per la raccolta, la visualizzazione e la geo-localizzazione interattiva di informazioni), ha permesso di raccogliere tutte le informazioni riguardanti le criticità, le località colpite ed è stata dunque utile per segnalare aiuti, punti di raccolta e coordinare i volontari. Questo strumento, facile da utilizzare anche per i non esperti, ha garantito la partecipazione attiva di tanti cittadini volontari alle azioni di resilienza ed è stato un chiaro esempio di attivismo digitale nato dal basso grazie all’uso intelligente dei social network e al coinvolgimento degli utenti nella mitigazione del rischio naturale. Appare dunque evidente come l’inclusione delle piattaforme social sia necessaria nelle attività di comunicazione e gestione del rischio, sia in tempo di pace che durante l’emergenza. Allo stesso tempo, risulta necessario garantire la presenza delle istituzioni in queste piattaforme, in modo da organizzare il flusso comunicativo e da agire da filtro per fornire ai cittadini informazioni tempestive ma sicuramente verificate. Gli utenti partecipano all’emergenza per colmare vari bisogni come, ad esempio, quello di informazione o i bisogni connessi agli usi sociali, al supporto emotivo, alla mobilitazione autonoma ecc. Qualsiasi sia il bisogno che i soggetti intendono colmare, un uso così diffuso dei social lascia percepire la forte volontà di partecipazione dei cittadini. Questa presenza dovrebbe essere canalizzata e organizzata da parte delle istituzioni, cercando di sfruttare al meglio il potenziale degli utenti, in modo da creare una forte rete civica di supporto alla mitigazione del rischio e al conseguente raggiungimento di comunità maggiormente resilienti al rischio naturale.
Le istituzioni devono adottare dei piani di comunicazione, anche sulle piattaforme social, stabilendo tutti i punti del piano comunicativo prima che si sviluppi l’emergenza vera e propria, sfruttando a pieno le potenzialità dei social network.